L’Italia combatte ma si arrende all’Irlanda




Irlanda – Italia 16 – 9 (pt 10 – 6)

Marcatori: 8′ cp Sexton, 16′ cp Allan, 20′ m. Earls tr. Sexton, 24′, 51′ cp Allan, 58′, 60′ cp Sexton
Arbitro: Garces (F)
Giallo: O’Mahoney (72′)
Mondiale finito per l’Italia che esce dall’Olimpic park di Stratford con una sconfitta non umiliante nelle proporzioni ma pesantissima quanto a ricadute in termini di classifica e di qualificazione. Vero è che in molti, alla vigilia, avrebbero messo la firma per una sconfitta dentro i limiti del break, al cospetto di una delle potenze ovali del vecchio continente, soprattutto alla luce di quanto visto contro Francia e Canada. Ma l’amaro in bocca rimane e l’idea che un giorno l’Italia possa entrare nel gruppo scelto delle migliori 8 Nazionali del mondo si allontana. In più: fra sette giorni a Exeter occorre battere la Romania. Non dovessimo riuscirci, per conquistare un posto alla World cup in Giappone del 2019, toccherà passare per i barrages. Unica squadra del Sei Nazioni.
La partita con l’Irlanda ha detto poche cose ma precise: Favaro è un placcatore di livello planetario (15 in meno di un’ora), Manici non si capisce in base a quali parametri sia stato chiamato a lanciare le rimesse laterali a un Coppa del Mondo (Giazzon un po’ meno peggio di lui nella ripresa), Capitan Parisse ha giocato male ma con una gamba sola, Gori è il giocatore italiano che più è progredito tecnicamente nell’ultimo anno di lavoro, Allan ha la stessa età di George Ford ma le analogie fra i due si fermano all’anagrafe, Sarto sta crescendo quanto a gestione degli spazi e della profondità, Rizzo è davvero… poco fortunato con le ginocchia, pensare di vincere una partita senza mai superare la linea del vantaggio è impresa ardua davvero.
A quanti, a fallimento del Mondiale archiviato, intenderanno esercitarsi nella specialità di “tiro al pianista” per la serie “dalli a Brunel l’untore” ci permettiamo di dare un consiglio: astenetevi! La debolezza o, comunque, la relativa consistenza, del rugby italiano non è colpa del ct, ma è la fotografia fedele e impietosa  del divario attualmente esistente fra la quota di talento espressa dal nostro movimento e quella presente in molti dei nostri competitors internazionali. In altre parole: chiunque succederà al tecnico Transaplino che molto amato in casa nostra non è mai stato, alla guida della nostra Nazionale maggiore, non porterà con sè la pozione magica che doterà l’Italia di un’apertura vera, di centri che sappiano attaccare, di piloni dominanti e di tallonatori accurati. A meno che non si voglia ritenere che le gambe, le mani, la rapidità e l’ intelligenza tattica di Foley (l’apertura dell’Australia che ieri ha disintegrato l’Inghilterra) siano frutto esclusivo degli allenamenti, del piano di gioco di Michael Ceika e magari degli esercizi dallo stesso proposto. O da quelli degli allenatori che ha avuto quando era un ragazzino.